Lois Anvidalfarei. Conditio Humana

di Matthias Boeckl


Quale genere di arte figurativa è in grado, oggi, di eccitare, turbare o toccare gli animi? Le sculture di Anvidalfarei rispondono a questa domanda con assoluta immediatezza: si tratta di figure umane singolarmente “altre”, talvolta molto più voluminose rispetto alla realtà, spesso con arti mancanti o di forma bizzarra. A volte sono singole parti del corpo che per il loro fascino irresistibile l’artista tratta in modo “esclusivo”, creando ad esempio figure “con una sola gamba”, le cui membra sembrano essere state frazionate e riposizionate per poi essere ricomposte in forma di colonne a se stanti che si offrono alla vista come pars pro toto

Carlo Dell'Amico. Liberata dal Caos

di Antonella Pesola


Un viaggio attraverso l’oscurità che rivela il suo fulgore segreto, attraverso i bagliori d'oro che trafiggono la tenebra, dallo splendore notturno del legno della croce annerito dal fuoco umano a quella luce indescrivibile. Dell’Amico lavora sulla trasformazione di una materia che, con un’antica immagine alchemica, parte dall’ oscurità per raggiungere un metaforico sole nero, dove i contrari della notte e delle tenebre si uniscono simbolicamente e dove la pesantezza del mondo si sublima in una leggerezza fondata sul rigore, perseveranza in quella volontà che altro non è che desiderare la liberazione dell’uomo.  L’artista, con la sua possente metamorfosi che distilla maestosità e leggerezza, lavora in un dialogo con la potenza generativa degli elementi, il suolo che si spalanca come una grande ferita generata da oscure forze telluriche, il vento che scuote le acque e la terra mostrando l’energia segreta e inarrestabile condensata nell’equilibrio che conquista e rinnova lo spazio. Dell’Amico nella visione cosmogonica e originaria vive un universo parallelo di forme ambigue che si muovono come costellazioni ignote; le geometrie si intrecciano come filamenti di DNA e in una pulsazione assoluta di luce cerulea. 

Rodin prima dell'Inferno (2 di 2)



(continua)

La «Porta dell'Inferno», come la Sistina o la «Scuola d'Atene», aggiunge al gesto artistico un complesso tessuto di rimandi esperienziali e intellettuali. A Rodin non interessa il linguaggio della monumentalità, anzi il monumentalismo, soprattutto quello che fraintende Michelangelo o dissemina di brutte sculture le città, poiché il particolare continua a rivestire la funzione espressiva dominante: la pelle dell'opera chiede il confronto con la luce e lo sguardo più che con lo spazio circondante, ricerca il contatto col pubblico, non distanzia ma avvicina; persino l'uso curioso e continuativo della fotografia, sulle quali stampe egli appunta le modifiche da apportare ai bozzetti o le varianti alle statue terminate, nel retour costante alle possibilità dell'opera più che alla sua reale modifica, individua altresì nuovi spunti, scende in un alveo ristretto dove le dimensioni e la tridimensionalità sono ridefinite bidimensionalmente.

Rodin prima dell'Inferno (1 di 2)

di Flavio Arensi



«Il genio non sta solamente nel creare un’opera, bensì nel creare se stesso...».

Martin Disler. La natura è sempre piena di vita, e di violenza

di Laura Luppi


Con queste parole Martin Disler riassume l’essenza del suo pensiero artistico durante un’intervista di Demetrio Paparoni nel 1994. Motivando la scelta del suo isolamento dal mondo globalizzato, snaturato e disinteressato per ritrovare a Les Planchettes un contatto concreto e al contempo spirituale con il mistero della vita, con la semplicità di una quotidianità «selvaggia» ancora distante dalle barbarie della modernità, Disler ripercorre le orme dei grandi pensatori, scrittori e intellettuali che nella generosa e altrettanto crudele Natura riscoprirono la propria appartenenza al cosmo primordiale.