La palude e Samorì


Non ha certo bisogno di consigli e rassicurazioni Nicola Samorì, forse il più talentuoso fra gli artisti italiani di nuova generazione. Una tecnica pittorica più che eccellente, sorretta da un'ispirazione e da una carica sperimentale inesausta: basti confrontare i lavori più recenti con quelli di pochi anni fa per rendersi conto di un percorso solido ed articolato, fra citazioni seicentesche e tensioni decostruttive pienamente contemporanee. Tuttavia Samorì si ritrova suo malgrado invischiato nella palude culturale italiana, incapace di custodire e valorizzare a dovere i talenti meritevoli. Come uno dei protagonisti dei suoi quadri, egli sembra combattere con l'oscurità che lo circonda e con il disfacimento dello spirito e della carne. Fuor di metafora: mentre al Louvre azzardano spericolati accostamenti (il memorabile dialogo di Jan Fabre con gli antenati fiamminghi nel 2008, ad esempio), il cappio delle soprintendenze italiche si stringe attorno al collo dell'Arte. Samorì infatti non sarebbe degno di comparire al fianco dell'intoccabile Caravaggio nella mostra organizzata a Porto Ercole. Rossella Vodret, soprintendente al polo museale romano, minaccia di non concedere il prestito del Merisi venendo meno così agli accordi presi diversi mesi addietro. Ma, sorvolando sulla forma, ciò che indigna è proprio la sostanza: l'arte contemporanea viene degradata, ridotta a istanza sempre provvisoria e, in ogni caso, accessoria. Inutile dilungarsi sull'atteggiamento paternalistico che guida decisioni del genere, più importante riflettere sulla condanna all' eterna gioventù: un artista di 33 anni, nel pieno della maturità artistica e umana, relegato all'ambito dell'arte giovane e giovanilista, indegna di essere accostata ai grandi della tradizione. In controluce si percepisce la deriva gerontocratica che in Italia soffoca i talenti a tutti i livelli e che annichilisce le aspirazioni e il rinnovamento del Paese.


Eppure, come direbbe qualcuno, all art has been contemporary. Cavallo di battaglia del rude Sgarbi, questo motto si adatta perfettamente alla situazione. Ma ecco l'ennesima contraddizione della "palude". Il prossimo curatore del Padiglione Italia alla Biennale, mentre dichiara di voler portare Lotto e Mantegna a Venezia, trova il tempo di organizzare la sezione arte del Festival di Spoleto. Premessa: nessun pregiudizio nei confronti del critico furente, nessuna ansia modernista mi spinge a censurare preventivamente le scelte di Sgarbi. Ma la presenza di Samorì nelle splendide sale di Palazzo Pianciani è quantomeno controproducente per l'artista stesso. Situati strategicamente al centro del percorso espositivo, i lavori dell'artista letteralmente stonano. Perché il resto del panorama è desolante: le stucchevoli fotografie celebrative di Pino Settanni, l'apoteosi del kitsch tonale di Romano Notari, gli eccessi accademici di Beatrice Caracciolo, Dino Valls, Agostino Arrivabene (esercizi di stile e tecnica senz'anima), il patetico fotorealismo anni '90 di Giovanni Iudice (non ci bastava Galliano...). Per non parlare dei maltrattamenti subiti da Osvaldo Licini e Fausto Pirandello, le cui presenze risultano davvero inspiegabili e decontestualizzate. Allestimenti imbarazzanti, cataloghi raffazzonati, accostamenti privi di logica, insomma una mostra sconcertante. Le istanze ed i ragionamenti di Sgarbi sui dimenticati dalla Storia sarebbero in linea teorica condivisibili, ma di fronte a tale sfacelo non si può che ritrarre lo sguardo.


Samorì, pittore tradizionale eppure innovativo perché vitale ed autentico, in sublime bilico fra passato e futuro, dovrebbe funzionare proprio come anticorpo allo sgarbismo anti-modernista, alle pastoie delle soprintendenze, alla palude della cultura italiana. Ecco, un consiglio potrebbe essere questo: si tenga alla larga da Sgarbi e dai suoi cloni, incapaci di garantirgli la dignità che merita. Si tenga alla larga da Caravaggio e dalle burocrazie della penisola. Si guardi attorno, ambisca ad un respiro internazionale, che se un Samorì fosse nato in Francia, in Belgio o chissà dove...In poche parole, Samorì, per il suo bene: si tenga lontano dall'Italia!

12 commenti:

  1. Ho anch'io lottato contro Samorì e alla fine ho ceduto (come non cedette la Soprintendente dell'inospitale Argentario). Da noi un piccolo dittico ("Dogs") sembra suggerire che i racconti di Rembrandt hanno un seguito. Samorì è già incappato in gallerie (pur lussuose) che ne stroncano la diffusione tenendo per sé e per un collezionismo facile e avido di sensazione un artista che dovrebbe davvero emergere fuori dalle classificazioni a cui la nostra misera critica tenta di assogettarlo. Mi permetterò di segnalare a Samorì il Suo bellissimo articolo, corredato di consiglio finale, del tutto pertinente. Speriamo che ne faccia profitto, 'ché in Italia si è sì sempre giovani, ma poi si invecchia in fretta, tutto in una volta, con pesanti interessi.

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  2. Il Sig. Pairone non sa distinguere la pittura da un muro scrostato.

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  3. Sarebbe interessante (o forse no) sapere da chi proviene un così articolato e garbato giudizio su chi ha il “torto” di ammirare (e saper ammirare) un artista e scriverlo. Questo è il mondo di coloro che lanciano un sasso sproporzionato per ciò per cui dissentono e subito ritirano la mano, timorosi si riconosca anche solo il polpastrello.
    E' il limite di internet: l'illusione libertaria e liberticida (se prevarrà il dileggio, chi ragiona si eclisserà) che sia lecito insultare, specie nella comoda garanzia del “io non sono stato”.
    La poco interessante massa anonima, in cui Anonimo da sé s’inserisce per ringhiare il proprio disprezzo, assidua dello sport preferito di un’Italia vigliacca e cialtrona, si autoesclude dalla possibilità d’essere considerata.
    Abbiamo bisogno, invece, di contare fra noi chi firma ciò che sostiene. Oserei dire che è quasi più importante la persona del pensiero, perché solo il fatto di impegnare la propria identità è segno di partecipazione attiva e desiderio di mettersi in gioco.
    Se si dovessero fornire le proprie vere generalità prima di accedere a ogni commento in rete (che è pur sempre pubblica piazza “registrata”, soggetta alle regole che dirimono i reati di diffamazione e calunnia perseguibili con l’ausilio della Polizia Postale), ci alleggeriremmo dell’inutile zavorra della ciarla divagante che approfitta d’immeritate ribalte. E coloro che, pur intervenendo con nomi fittizi concorrano però a discussioni civili, non si sentiranno mai danneggiati. L’antipatico fenomeno dell’ingiuria appesantisce il dialogo sull’arte (e su altri argomenti), che internet nella sua accezione migliore contribuisce a sviluppare. Un dialogo di cui la cultura italiana ha bisogno per risorgere a livelli e linguaggi che in Patria e all’Estero siano condivisi.
    Accidenti: vedo ora che il gentile Anonimo mi ha pur dato l’occasione di affrontare un problema importante. Devo ringraziarlo, infine...

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  4. ringrazio Cristina Curti (e il demone della sua grafomania) non tanto per la difesa quanto per l'argomentazione come sempre lucida anche condivido solo in parte i termini del discorso: l'anonimato, quando non si riduce al nulla pneumatico dello sberleffo e dell'ingiuria gratuita, è un'opzione importante. Permette infatti di dare peso all'argomento, alla sua forma ed al suo contenuto logico che dovrebbero essere considerati in sé e non in base alla firma.

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  5. Per un'innamorata del lògos come me, non c'è argomento migliore. Non siamo distanti nelle opinioni se non per alcune sfumature. Il mio paradossale commento "è più importante la firma del pensiero" proviene dal concetto sumero di makhtub, sigillo apposto sui documenti scritti che significa: "ciò che qui è scritto è vero PERCHE' è scritto (e vidimato da una determinata autorità)". Verità e funzione della scrittura coincidono. Perdoni lo sfoggio inopportuno di erudizione. Non sono affatto interessata all'identità fisica di chi scrive quanto ai contenuti dello scritto (così come poco importa la firma dell'artista nella considerazione critica di una sua opera), ma non riesco a sopportare il viatico alla vigliaccheria (e alla violenza) che l'anonimato consente. Di tale vigliaccheria non abbiamo bisogno oggi, come da sempre, ma oggi meno che mai. Grazie per la Sua risposta.

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  6. Tutt'altro che inopportuno, questo richiamo alle procedure sumere mi sarà anzi utilissimo negli studi sulla funzione-autore che da anni aspettano di ricevere una veste sistematica.
    Come sempre preziosa la Curti, grazie davvero

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  7. tutto molto bello, non condividono però le cose dette su dino valls ed agostino arrivabene....pazienza su gusti =)

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  8. Certo la Tradizione è sempre un questione scottante per chi dipinge.Mi chiedo se in Samorì c è un innamorameto per un certo gusto caravaggesco o una lettura 'essenziale' dell'opera del maestro (dei maestri)del seicento.In Borremans,M.Dumas,Neo Rauch c'è anche lì molta tradizione ma con un approccio diversissimo.Io sinceramente accosterei a Caravaggio per esempio Marlen Dumas con uno dei suoi quadri sulla morte, si creerebbe così un dialogo a mio avviso più aperto.Merita sicuramente il posto che già detiene nell'arte italiana ma non credo sincermante che rappresenti un Italia nuova e visionaria anzi..Non credo neanche sinceramente che se fosse nato da queste parti (fra giganti quali Borremans, Tymans,M Dumas ecc.)avrebbe molto spazio.
    N.Dinoia,Belgio-Anversa

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  9. Gli artisti citati sono anagraficamente più maturi di Samorì che ha solo 33 anni. Comunque in Francia, Belgio e Germania c'è evidentemente più spazio più spazio per lavori di questo tipo e meno per le contrapposizioni sterili fra pittura e altre forme espressive più "contemporanee" (am che vorrà mai dire?).
    Mi piacerebbe avere da lei un parere su Coché e Deprez di cui parlo in un post più recente

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