Perino e Vele. Luoghi comuni (1 di 2)

Dal catalogo della mostra a cura di Lorenzo Respi presso la Fondazione Pomodoro, 2011 


Ma quante sono le menti umane capaci di resistere alla lenta, feroce, incessante, impercettibile forza di penetrazione dei luoghi comuni?
(Primo Levi, La tregua)

È trascorso quasi mezzo secolo e, oggi, la risposta è drammaticamente semplice: sono la minoranza.
La speranza nel riscatto della civiltà, sprofondata nel dramma della guerra mondiale e dell’odio razziale, è naufragata miseramente nell’intorpidimento delle “menti umane”, che sono state educate ad accettare come verità inconfutabili le opinioni ripetute, i luoghi comuni. Già Aristotele aveva definito τóποι i principî da cui si traggono le argomentazioni e i sillogismi dialettici e che consistono in affermazioni comunemente accettate e rese valide dall’autorità di chi le ha pronunciate. Il senso critico di ciascuno di noi viene indebolito a causa dell’uso suadente della parola e il messaggio, l’informazione che recepiamo, risulta parziale e fazioso perché selezionato a priori a discrezione della fonte. Questa forzatura nella comunicazione, caratteristica dei mass media, nasconde volutamente alcuni aspetti “scomodi” della realtà precludendo la conoscenza del fatto in sé nella sua complessità. Si diffonde così una realtà preconfezionata a uso e consumo di chi l’ha elaborata e passivamente accettabile in quanto unica possibile. In questo regime di comunicazione è impossibile resistere alla “penetrazione dei luoghi comuni”.
Ma se tornassimo a esaminare la locuzione luogo comune nella sua accezione semantica, scopriremmo che le basi per un’alternativa possibile sono implicite nel significato delle due parole. Il loro accostamento definisce infatti uno spazio fisico o mentale, circoscritto entro confini delimitati e riconoscibili, nei quali agiscono intenti collettivi impegnati a raggiungere un obiettivo condiviso e universale. Qui circolano le idee, si scambiano le opinioni e si garantisce il pluralismo. Ebbene, proprio in questo luogo resiste la minoranza a cui si rivolge Primo Levi.

Grazie alla coerenza e alla sensibilità del loro lavoro, Perino & Vele partecipano di diritto a questo senso di luogo comune, tracciando nella storia della scultura italiana un percorso anticonvenzionale ed estremamente critico nei confronti dell’attualità. Oggi la scultura per essere veramente “contemporanea” deve farsi portavoce del proprio tempo, contribuire con un linguaggio originale e moderno all’interpretazione dei complessi fenomeni in evoluzione, denunciare le contraddizioni, la violenza e l’ipocrisia che regolano il vivere incivile. Come un qualsiasi altro media, anche la scultura veicola un messaggio attraverso un mezzo, la materia, e la sua struttura plastica, la forma. Perino & Vele modellano la cartapesta in forme che alludono a fatti di cronaca, a temi scottanti di denuncia sociale e alla distorsione della realtà operata dai mass media, ovvero gli strumenti privilegiati per costruire i luoghi comuni acritici.

Nel 2006 il giornalista Pino Corrias pubblica Luoghi comuni. Dal Vajont a Arcore, la geografia che ha cambiato l’Italia, dieci reportage di passione civile sulla cronaca nazionale del secondo dopoguerra, drammi collettivi di violenza avvolti nel mistero, che hanno lacerato profondamente la storia della nostra democrazia. “Certi paesaggi – scrive Pino Corrias – contengono persone e circostanze che hanno cambiato la nostra storia e per questo ci appartengono. La loro sequenza non ha un ordine preciso, se non quello che è assegnato dal tempo. Il tempo passa, confonde e dimentica. La scrittura ferma il tempo, mette la memoria in riga, i luoghi in pagina.” Sono storie di sangue, crudeltà, cinismo e miseria, che approdano a quel luogo comune, rifugio sicuro per la minoranza non allineata e fiduciosa nel futuro: “il Teatro 5, a Cinecittà, di Federico Fellini, che è un omaggio ai suoi sogni e ai nostri”1. Un punto su una carta geografica diventa pretesto per intrecciare un racconto.
Perino & Vele colgono il valore suggestivo del luogo-simbolo e trasferiscono nelle sculture il potenziale comunicativo dello spazio narrativo, con l’intento dichiarato di veicolare un’originale ed evocativa interpretazione della contemporaneità attraverso l’arte. Non a caso, questa importante mostra antologica è intitolata “Luoghi Comuni”: lo spazio fisico del museo si trasfigura in un grande contenitore narrativo, un moderno luogo comune di confronto e di riflessione, per quella minoranza che ne fa esperienza, da attraversare e percorrere seguendo la trama “scritta” dall’allestimento, che accompagna il visitatore alla scoperta dei temi di denuncia delle opere esposte. In diciassette anni di sodalizio artistico Perino & Vele hanno affrontato con costanza temi sociali e civili, politici e militari, ecologici e biogenetici, di cui si parla poco o di cui si dice poco. Oggetti d’uso quotidiano, veicoli, segnali stradali, transenne e animali diventano il pretesto per rivolgere l’attenzione agli avvenimenti volutamente insabbiati e per criticare aspramente la violenza in tutte le sue forme, da quella privata o pubblica a quella politica e militare. I fatti e le persone, programmaticamente rimossi dalla memoria collettiva, riemergono dai corrugamenti della cartapesta, ottenuta macinando e rimpastando le pagine dei medesimi giornali e riviste che ne hanno raccontato le vicende. Ogni scultura testimonia un momento della nostra storia, determina una coordinata sulla mappa geografica dell’allestimento alla Fondazione Arnaldo Pomodoro e documenta le tappe successive dell’evoluzione del pensiero artistico di Perino & Vele.



E ancora di più: Luoghi Comuni (2011) è anche il titolo dell’opera, realizzata appositamente per l’esposizione milanese, che fissa un importante traguardo per i due artisti: è maturata infatti la consapevolezza di esprimere un giudizio provocatorio e anticonformista sulla realtà, affermato secondo quel principio di libertà di espressione che è imprescindibile per la salvaguardia e la tradizione della memoria attraverso il linguaggio a loro più congeniale, quello della scultura. Parafrasando un pensiero di Zygmunt Bauman, possiamo sostenere che Perino & Vele hanno superato i limiti imposti dall’avanguardia postmoderna, il disimpegno morale e il disinteresse per il passato, dimostrando che è possibile “utilizzare la forma artistica come protesta, sia contro l’establishment artistico che – più ambiziosamente – contro la società che isolava il lavoro artistico da qualsiasi rapporto con le altre sfere della vita sociale”2.

All’ingresso della mostra tre pali in ferro zincato, sovraccarichi di indicazioni stradali in cartapesta, accolgono e disorientano il visitatore, lo invitano a seguire direzioni opposte per raggiungere la piena comprensione degli episodi di cronaca indicati sulle frecce direzionali. Dodici luoghi comuni che hanno segnato profondamente la storia del nostro Paese: la villa di Arcore, la vincita record a Peschici, la strage di Capaci, il mistero del DC9 nei cieli di Ustica, la notte drammatica a Vermicino, il terremoto dell’Irpinia, il Santo di Pietrelcina, il clan dei Casalesi, l’inchiesta sul termovalorizzatore di Acerra, i capimafia Corleonesi, lo scandalo del Pio Albergo Trivulzio, i fatti del G8 di Genova e la scuola Diaz. I sogni degli italiani (potere, denaro e popolarità) si incrociano con le stragi di Stato, la corruzione politica si intreccia con la violenza di mafia, i drammi sociali si incontrano con la fede. È una scultura da leggere, una mappa geografica mentale da esplorare, come l’omonimo libro di Pino Corrias: Perino & Vele vogliono che lo spettatore si soffermi a osservare l’opera per decifrarne il messaggio. Scritte parzialmente leggibili inneggiano con slogan a vicende dell’immaginario collettivo; grandi “X” nere segnalano il pericolo di “Irritante nocivo”, intimano l’“Alt!”. Meditate! Fogli di cartapesta gialla, simili a enormi post-it, si affastellano e si sovrappongono in un caotico impasto visivo che nell’esperienza urbana quotidiana ricorda la stratificazione selvaggia e abusiva delle affissioni pubbliche. Spiegano Perino & Vele: “Adottando la teoria che il manifesto sia spesso un elemento caratteristico del paese e della società che lo crea, partiamo proprio da quei manifesti di protesta popolare scritti a mano uno a uno, che violando ripetutamente e continuativamente le norme in materia di affissioni e pubblicità, soprattutto in campagna elettorale, finiscono per coprire cassonetti, saracinesche, segnaletiche stradali ed altro. Sviluppiamo questo strano modo di agire, un pensiero portato all’eccesso, quasi ingombrante e senza regole. Luoghi Comuni è un’installazione in cartapesta pastello e ferro zincato, segnata da percorsi obbligati dove la premessa informativa viene svolta da insegne stradali e da transenne che indicano e delimitano dei luoghi sulla mappa d’Italia e del mondo ormai parte del nostro immaginario collettivo.” Rispettare le regole è il primo passo verso una convivenza più civile senza sopraffazione né violenza.



Il pensiero viene approfondito in Help?? (2011), l’altra scultura inedita che affianca Luoghi Comuni in questo spazio introduttivo al percorso espositivo. Il titolo è una richiesta d’aiuto, di collaborazione da parte di tutti, per contrastare la violenza della guerra. Una serie di transenne antipanico in ferro zincato, simili a quelle utilizzate per contenere la folla durante le manifestazioni, delimita uno spazio chiuso circolare nel quale è impossibile accedere. La funzione tecnica di queste transenne viene simbolicamente ribaltata: le persone non sono costrette “dentro” per essere facilmente controllate, ma sono costrette “fuori” per essere stimolate a esercitare il diritto di espressione e a elaborare un’opinione personale priva di condizionamenti. Lungo la barriera sono affisse mappe giganti del mondo sulle quali le regioni interessate da focolai di violenza e di terrore sono marchiate con il simbolo ricorrente di “Irritante nocivo”. A complicare la lettura del planisfero interviene ancora una volta l’azione, il blitz artistico, di Perino & Vele che, come in un puzzle geopolitico, sovrappongono i continenti con la pratica dell’affissione abusiva, spostano le nazioni per motivi ideologici, mimetizzano le regioni nella ridondanza delle coordinate cartesiane. Il messaggio è chiaro: non fatevi contagiare dallo stato infiammatorio del guerrafondaio. “Il modo migliore per difendersi da un nemico – scrisse Marco Aurelio (imperatore, 161-180 d.C.) – è di non comportarsi come lui.”3
La rappresentazione metaforica della condizione attuale della nazione, e di un mondo, che devono fare i conti con un sistema politico conflittuale e un tessuto sociale lacerato, si completa con il sarcastico Goodbye (2007), uno striscione di “Benvenuto in Italia” crivellato di colpi di arma da fuoco. L’augurio di un felice soggiorno nel Belpaese rivolto al turista straniero è contraddetto dall’avvertimento intimidatorio dei fori di proiettile. È un’installazione che strappa un sorriso amaro, come il farsesco Matamore de L’Illusion comique4 di Pierre Corneille.

Nelle opere di Perino & Vele il tempo è una componente essenziale sia nella realizzazione del lavoro sia nella sua comprensione.
La produzione della cartapesta è tecnicamente un procedimento lungo e complesso, che richiede passaggi di lavorazione scanditi da tempi indifferibili e un’eccellente abilità nella miscelatura di carte, colle e colori, nella modellazione dell’impasto e nell’essicazione dei fogli. La qualità della cartapesta, prodotta artigianalmente in studio, garantisce la massima potenzialità espressiva della materia, contribuendo in maniera determinante all’effetto finale dell’opera. Per Perino & Vele la cartapesta non è semplicemente un materiale della scultura, ma un linguaggio espressivo. A dimostrazione di ciò, basti segnalare che nelle didascalie di molte opere, oltre alla tecnica generica “cartapesta”, vengono specificati i titoli delle testate utilizzate, perché la scelta della carta non è solo un fatto estetico o pratico, dovuto alla colorazione della carta (rosa “La Gazzetta dello Sport”, beige “Il Sole 24 Ore”, giallo “ItaliaOggi”, grigio “Corriere della Sera”), ma anche una scelta culturale dettata dai contenuti pubblicati (“la Repubblica”, “Il Mattino”, “bricabrac”). In questa prima fase di ideazione, si sovrappongono due componenti temporali: il tempo concreto della produzione e il tempo astratto della narrazione. Quando la scultura è conclusa, pronta per essere esposta al pubblico, si aggiungono due nuovi livelli temporali, che non agiscono più sull’opera ma sullo spettatore: il tempo presente, necessario per la comprensione hic et nunc; il tempo passato, da ripercorrere a ritroso fino a risalire alla fonte di ispirazione, al fatto di cronaca, al motivo scatenante di riflessione. Memoria privata e memoria collettiva si affrontano sullo stesso terreno, quello della creazione artistica, che si rivolge alla storia contemporanea proponendone una lettura critica e consapevole. Le sculture di Perino & Vele richiedono tempo per essere capite, non sono di immediata fruizione perché rifuggono la banalità. Talvolta appaiono ostiche e oscure, quasi riluttanti al comune senso estetico, o addirittura superficiali: però è sufficiente stare al gioco per scoprirne il forte impegno civile. Come in una partita di poker bisogna saper leggere i segnali degli avversari per sbancare il piatto, così di fronte a sculture complesse bisogna saper leggere gli indizi stilistici per coglierne il senso di denuncia: le forme e i colori, gli slogan e i titoli, le posizioni e i rapporti spaziali.



Il sodalizio artististico tra Emiliano Perino e Luca Vele si è stretto nel 1994 e in diciassette anni di carriera si è sviluppato con coerenza e sempre maggior consapevolezza verso una scultura d’eco militante e di resistenza all’omologazione dei linguaggi artistici giovanili. L’impegno sociale ed ecologico, la condanna della violenza in tutte le sue forme e il cinico sarcasmo sono tematiche che emergono chiaramente fin dalle prime sculture risalenti alla fine degli anni novanta.
Nel 1999 Harald Szeemann invita Perino & Vele alla XLVIII Biennale d’Arte di Venezia, dove i giovanissimi artisti presentano Pelle d’Elefante (1998), un’installazione agibile di grandi dimensioni. L’effetto è assolutamente straniante: una finta pelle d’elefante in cartapesta viene stesa a terra e impreziosita con stridenti e severe poltrone in ferro arrugginito, quasi a ricostruire un patinato salotto aristocratico. I visitatori possono calpestare liberamente la scultura, trasgredendo il valore di feticcio dell’oggetto d’arte, e fermarsi a riposare su poltrone dure e scomode. Coinvolgendo attivamente lo spettatore nella vita dell’opera, Perino & Vele intendono guidarlo a riflettere sul significato dell’esperienza sensoriale: il vuoto provocato dalla morte e la profanazione autorizzata da una società indifferente alla violenza, che siede a godersi lo spettacolo noncurante di ciò che succede intorno.

(continua)

1 Pino Corrias, Luoghi comuni. Dal Vajont a Arcore, la geografia che ha cambiato l’Italia, RCS MediaGroup, Milano 2006, pp. 1-2.
2 Zygmunt Bauman, La decadenza degli intellettuali. Da legislatori a interpreti, Universale Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 153.
3 Da Pensieri, VI, 6.
4 Opera teatrale in cinque atti, scritta da Pierre Corneille nel 1635. È una commedia imperfetta, risultante dalla fusione di generi diversi (commedia dell’arte, pastorale e tragedia), che si conclude in tragicommedia.

3 commenti:

  1. Caro Pairone, a proposito di cartapesta "particolare", ti segnalo un esempio, a mio parere, molto interessante. Come certamente saprai qui in Thailandia la cartapesta e' largamente usata in molte espressioni artistiche sia contemporanee che tradizionali (un esempio per tutti le maschere per il teatro Khon). Alcuni anni fa (tra la fine del 2006 e l'inizio 2007) l'artista Kamin Lertchaiprasert (e' il co-fondatore, assieme a Rikrit Tiravanija, del progetto "The Land" in Chiang Mai su un terreno di sua proprieta')presento' una "mostra-installazione" di 365 piccole sculture in cartapesta, tutte rappresentanti lo stesso Kamin seduto in posizione di meditazione e su ognuna delle quali, a mano, sono riportate frasi di commento diverse. Tale progetto fu da lui iniziato nel 2004 ed ogni giorno, per un anno, realizzo una delle 365 piccole sculture. La particolarita' di tali sculture, che ti segnalavo, e' che la "cartapesta" con cui sono fatte e' costituita da biglietti di banca di corso legale (il Bath Thailandese) nei diversi tagli 20 (verde) 50 (azzurro) 100 (rosa) 500 (porpora) 1000 (terra di siena), se ti interessa approfondire e vedere qualche immagine dei lavori questo e' il link :
    http://artfoundout.blogspot.com/2009/01/kamin-lertchaiprasert-sitting-money.html

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  2. Grazie mille per l'interessante segnalazione, siccome siamo aperti a collaborazioni se le va potrebbe scrivere sull'argomento. Sarebbe ospite graditissimo

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  3. Caro Pairone, permettimi innanzi tutto di chiederti di darmi del tu ... ci incontriamo su FaceBook e su Artribune, e mi fa sentire piu' a mio agio (forse perche' son vecchio?). Se ritieni che l'argomento interessi lo faro' certamente Kamin e' un amico ma, aparte questo, ho trovato il suo lavoro davvero interessante.

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