Del multiplo, dell'archivio. La collezione Peruzzi

Fino a pochi anni fa le bolle speculative dell'arte annegavano in una contagiosa euforia i discorsi sul valore dell'opera, sui criteri di selezione ed accesso ai mercati, sulla storiografia critica ancella dei poteri economici. Oggi, mentre le blue chips evaporano e gli investimenti in arte si orientano su nomi consolidati, si torna a parlare di gusto, giudizio, canone e valore. Il punto di vista di Vittorio Peruzzi, collezionista di opere seriali del '900 italiano, è in questo senso particolarmente prezioso poiché offre riflessioni attente su trasformazioni e persistenze del mercato, su valore e aura delle opere moltiplicate, sul gusto individuale e la responsabilità del collezionista.


Davide W. Pairone: lei appartiene a quella schiera ristretta di collezionisti che, anziché chiudersi in una torre d' avorio, dedica particolare attenzione alla divulgazione ed alla comunicazione. Le edizioni sui multipli dell' Arte Povera e di Maurizio Cattelan mi sembrano testimonianze concrete di questo impegno così come la struttura approfondita e trasparente del sito www.collezioneperuzzi.it. Quali collaborazioni auspicherebbe con altri operatori culturali e con le istituzioni? Quali difficoltà incontra in queste attività di condivisione?

Vittorio Peruzzi: la prima difficoltà, ovviamente, è di carattere economico. La Collezione Peruzzi è un’entità privata che non ha alcun sovvenzionamento ed alcun introito: l'attività di divulgazione, approfondimento e sostegno all’arte contemporanea italiana nel suo modo moltiplicato è integralmente finanziata con il bilancio famigliare e le iniziative sono fruibili gratuitamente. Solo per le pubblicazioni viene richiesto il costo della stampa e della distribuzione, le uniche attività che non sono svolte direttamente dalla Collezione. La nostra proposta di collaborazione ad altri operatori culturali ed alle istituzioni per iniziative comuni è sempre fondata sull’assunzione che il prestito delle opere e le attività dirette svolte dalla Collezione sono a titolo completamente gratuito. Su questa base, ad esempio, stiamo proponendo ad alcune istituzioni pubbliche una mostra dal titolo “Alberto Burri e Lucio Fontana: l’urlo della carta” per approfondire anche nel campo della produzione seriale il raffronto tra questi nostri due giganti dell’ informale internazionale.

DWP: in tempi di crisi economica è inevitabile chiedere ad un collezionista un' opinione generale sui meccanismi del mercato del contemporaneo e in particolare sulla situazione contingente. Fra bolle, speculazioni e legislazione carente quale ruolo può assumere il collezionismo di grafica e multipli? Può tornare ad essere un punto di riferimento?

VP: il collezionismo dell’arte seriale, nei paesi guida del mercato dell’ arte contemporanea come gli Stati Uniti, la Germania, la Svizzera, l’Inghilterra, la Francia, è un settore in permanente sviluppo. In Italia è in continua contrazione e sconta, oltre l’impatto particolare della crisi economica sul nostro paese, un pregiudizio purtroppo alimentato anche dalle pratiche scorrette di molti operatori: che l’ opera moltiplicata abbia un valore culturale infimo rispetto all’ opera singola, di cui viene considerata al livello di una riproduzione. Il collezionismo in Italia dovrebbe scoprire che, quando le opere sono state effettivamente concepite per essere multiple e realizzate dall’ artista per essere tali, la validità di questi lavori è spesso comparabile a quella delle sue opere uniche (i lavori seriali di Fontana , Burri e Afro realizzati con la 2RC insegnano, per non citare Morandi, Marini, Chagall, Mirò, Picasso, Bacon, Tàpies, Chillida, Beuys, Richter): questo permetterebbe di attivare un circolo virtuoso tra domanda di mercato e produzione artistica seriale. Da qui lo sforzo di divulgazione e comunicazione della Collezione Peruzzi per lo sviluppo di un collezionismo di opere moltiplicate di qualità, che io amo definire “democratico” per la sua maggiore possibilità di diffusione ed accessibilità rispetto a quello delle opere singole.


DWP: quali sono le sue opinioni riguardo le quotazioni degli artisti italiani del dopoguerra, a partire grosso modo dall' Informale? Pensa che, a parte Fontana, Burri e pochi altri, vi siano artisti e movimenti penalizzati rispetto al coevo panorama internazionale?

VP: negli ultimi 10 anni abbiamo assistito al crescente interesse del mercato dell’arte internazionale, con il conseguente significativo lievitare delle quotazioni dell’arte italiana contemporanea. Oltre che ai nostri grandi informali questo interesse si è rivolto, ad esempio, anche agli artisti dell’ Arte Povera a seguito della consacrazione da parte della critica internazionale: in giro per il mondo non esiste museo d’ arte contemporanea, piccolo o grande che sia, che non abbia una sala dedicata a questi artisti, al pari della sala dedicata alla Pop Art. Anche le generazioni più recenti hanno ricevuto la stessa lusinghiera attenzione: per citare solo alcuni artisti, Cattelan, Beecroft, Bonvicini, Gabellone, Vezzoli, Toderi, Arienti, Airò, Pivi. Non mi sembra che vi siano artisti o movimenti italiani contemporanei immotivatamente sottovalutati rispetto al panorama internazionale.

DWP: la dialettica fra multiplo ed originale nella contemporaneità non si riduce ad una mera questione tecnica e commerciale ma sembra assumere una precisa valenza poetica. Allo stesso modo si potrebbe parlare di poetica dell' archivio, penso a Warburg, Schwitters, Borges o Richter e più di recente all' intero ambito del postmoderno. Una collezione d' arte secondo lei può riflettere e sintetizzare queste caratteristiche della cultura contemporanea? Se sì in che modo?

VP: considero decisamente corretta la tesi di Warburg sulla conservazione della memoria e dei processi storici attraverso la loro archiviazione per immagini. Altrettanto corretta la conseguente tesi dell’ identificazione del collezionista con la sua collezione, come testimonianza complessiva del suo passaggio sulla terra: chi colleziona operando le proprie scelte sulla base del progressivo svilupparsi delle proprie convinzioni e maturazioni culturali - non mi riferisco quindi al collezionista che opera nella mera ottica dell’ investimento finanziario o che fa scegliere da terzi le opere da acquistare - considera effettivamente la collezione come la sua “opera” al punto di preoccuparsi che dopo la propria morte essa rimanga integra, fruibile ed associata alla sua memoria.


DWP: movimenti come l' Arte Povera e l' arte concettuale sviluppano processi creativi, tecnici ed operativi assolutamente peculiari. Il ricorso ad esempio a materiali organici, a forme primarie e a processi sostanzialmente mentali sembrano difficili da declinare nell' ambito della grafica e delle opere multiple. Quali soluzioni hanno approntato gli artisti che lei colleziona? Può portare qualche esempio particolarmente significativo?

VP: senza dubbio l’ arte contemporanea ha definitivamente scardinato le forme tradizionali dell’opera d’arte e il sistema di riferimento che permetteva di validarla come tale. La figura dell’ artista coincide sempre meno con quella dell’ artigiano; il famoso “ma lo saprei fare anch’ io!”, che deriva dall’ identificazione del valore dell’ artista con la sua capacità tecnico-esecutiva artigianale, ha sempre meno senso: ciò che conta è il progetto, l’idea dell’opera d’arte, il "risultato”; l’esecuzione ed il suo esecutore, uomo, macchina, processo chimico/fisico sono assolutamente secondari; ci sono artisti di prima grandezza che dichiarano di non saper disegnare e di non partecipare in alcun modo alla realizzazione dell’ opera ma solo alla sua ideazione. La cosa più sorprendente è che ciò, dopo quasi un secolo da Duchamp, provoca ancora scandalo. Paradossalmente tutto ciò contribuisce ad affermare la validità dell’arte moltiplicata, rendendo sempre più senza senso la critica alla mancanza dell’intervento diretto dell’ artista sui singoli esemplari dell’edizione per cui una stampa originale od un multiplo sarebbero da considerarsi alla stregua di una riproduzione. Qui sorprende come ad esempio ci si dimentichi che le fusioni in bronzo opere “singole” siano in realtà dei multipli editi in più esemplari e come altrettanto ci si dimentichi della fondamentale importanza storica e culturale del lavoro dei grandissimi incisori come Dürer, per citarne uno soltanto.
Gli effetti più specifici che le nuove forme dell’ opera d’arte hanno provocato sulla produzione seriale sono il venir meno del sistema di attribuzione di “valore” alle differenti tecniche di stampa d’arte originale che attribuiva all acquaforte il primo posto, seguita dalla litografia, poi dalla serigrafia e dalla fotografia; le tecniche di stampa fotolitografiche / offset perdevano addirittura l’ attributo di originale.
Ora moltissimi artisti si affidano alle tecniche di stampa fotografiche per la loro produzione artistica e ciò che distingue le loro opere considerate singole da quelle considerate edizioni seriali è il numero degli esemplari prodotti: generalmente fino a 10 sono considerate opere singole, oltre sono considerate opere seriali. E questo vale anche per i multipli. Il mercato riflette matematicamente questa regola nel prezzo delle opere.
Per fare un solo esempio emblematico di come un artista contemporaneo abbia affrontato in maniera nuova le opere seriali, prendiamo Fontana: in una forma d’ arte in cui il punto massimo di riferimento erano le acqueforti realizzate da maestri dell’incisione, che realizzavano faticosissime lastre ricchissime di dettagli e retinature, precisissime e puntuali (citiamo Morandi per tutti) Fontana irrompe con i suoi strappi manuali sui fogli realizzati all’ acquaforte acquatinta.



DWP: quale peso hanno i giovani artisti nella sua collezione e come giudica l' uso della grafica e dell' opera multipla nelle nuove generazioni?

VP: la mia collezione è dedicata agli artisti italiani i quali operano in un mercato che considera secondaria la forma dell’arte moltiplicata. Spesso questa forma è riservata ad artisti ormai famosi che realizzano edizioni a solo scopo commerciale, è quindi difficile trovare artisti giovani che si dedichino in maniera convinta alle opere seriali.

DWP: nel sito della Collezione leggo che ritiene sopravvalutati movimenti come la Transavanguardia e la Nuova Scuola Romana nonostante la loro consistente produzione grafica. Quali sono gli elementi che l' hanno portata a tale conclusione? Più in generale qual è il suo rapporto con la figurazione?

VP: non amo la pittura figurativa e il neo espressionismo come non amo la musica barocca e romantica. Ritengo che rappresentino il passato mentre invece occorre vivere il proprio tempo e contribuire allo sviluppo e all’ affermazione del nuovo.


Immagini:

Mimmo Rotella, Cavaliere Rosso, serigrafia collage, 135 x 180 44/70

Alberto Burri, Cretto Bianco, acquaforte acquatinta, 67 x 96,5 60/90

Alighiero Boetti, Probing the mysteries of a double life, litografia pitturata a mano in rosso, 50 x 70 59/100

Maurizio Cattelan, Il Bel Paese, feltro ricamato, d 20,5 53/100

Courtesy Collezione Peruzzi




2 commenti:

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